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Acquisto su campione: come evitare contestazioni e altre insidie

Come acquisti la materia prima per realizzare i capi o accessori che immetti sul mercato?

Nel settore della moda, che si tratti di pellame, di tessuti o di accessori, l’approvvigionamento viene di solito effettuato sulla base di campioni. Campioni di stoffa, di pelle, di accessori (applique, bottoni, zip, patch ecc.) che l’acquirente, dopo aver visionato acquista chiedendo una fornitura di beni dello stesso tipo di quelli esaminati, nella quantità a lui necessaria.

Questo tipo di vendita, detta “a campione” o “su tipo di campione”, è comunissima nel settore moda e utilizzata moltissimo in occasione delle fiere di settore. Essa ha delle importanti implicazioni giuridiche che davvero pochi addetti ai lavori conoscono. Ignorare la disciplina della vendita su campione significa accettare dei rischi non indifferenti

Ecco dunque quello che c’è da sapere ogni volta che si conclude un contratto di vendita di questo tipo.

Il campione

Il campione può avere una duplice valenza:

  1. essere considerato come specifico termine di paragone (in questo caso si tratta di vendita su campione, prevista all’art. 1522 codice civile primo comma[1])
  2. essere considerato un parametro indicativo della qualità della merce (in questo caso si tratta di vendita su tipo di campione, prevista all’art. 1522 codice civile secondo comma[2]).

È importante che risulti ben chiara la volontà delle parti circa il valore da attribuire al campione dato che:

  • nel primo caso, la legge consente di risolvere la vendita per qualsiasi difformità, anche di lieve entità;
  • mentre nel secondo, il compratore può risolvere il contratto, soltanto se la merce presenta una difformità qualitativa notevole rispetto a quella del campione tipo.

Cosa succede se le parti non specificano che tipo di vendita intendevano perfezionare?

La risposta a questa domanda ce la forniscono i tribunali nel risolvere questioni su tale punto specifico: la giurisprudenza[3] infatti tende a ritenere che si tratti di vendita su tipo di campione. In assenza quindi di uno specifico riferimento alla vendita su campione il compratore potrà risolvere il contratto, soltanto se la merce presenta una difformità qualitativa notevole rispetto a quella del campione tipo visionato in fase di acquisto.

Le implicazioni di questo orientamento non sono di poco conto! Per fare un esempio: una lieve differenza di colore del tessuto, non consentirebbe di poter risolvere il contratto con la restituzione del bene da una parte, e del prezzo corrisposto, dall’altra. Sarebbe soltanto possibile ottenere una riduzione del prezzo.

Peccato che in questo settore una sfumatura diversa di colore non è un dettaglio, soprattutto per coloro che, producendo per importanti griffe del settore devono rispettare capitolati di produzione che non lasciano margine di errore.

È chiaro quindi come, precisare contrattualmente che la propria volontà è nel senso di concludere una vendita su campione e non già su tipo di campione diventa di fondamentale importanza.

Lasciare questa circostanza non specificata, imporrebbe, in caso di contestazione, la necessità di ricorrere a prove testimoniali alquanto difficili (spesso addirittura non ammesse dal giudice), volte a chiarire che valore avevano attribuito le parti a quel campione, se come effettivo termine di paragone, ovvero come indicazione generica circa le caratteristiche della merce.

A prima vista, si potrebbe pensare che la vendita su campione, sia una tipologia contrattuale che tuteli maggiormente il compratore in caso di difformità della merce.

In realtà, anche per il venditore tale contratto sortisce degli effetti positivi. Ad esempio, la vendita su campione, non impone al venditore di dimostrare che la merce sia conforme al campione.

Il venditore ha l’onere di dimostrare soltanto la consegna della merce, mentre al compratore incombe l’onere di dimostrarne l’eventuale difformità rispetto al campione.[4]

A tal fine potrebbe essere utile prevedere che il campione venga consegnato al compratore ai fini del controllo, o anche ad un terzo, che potrebbe fungere da custode imparziale o di perito (qualora abbia particolari competenze), ovvero del soggetto incaricato dalle parti di compiere una valutazione tecnica (a prescindere dalle sue competenze).

L’aspetto della conservazione del campione assume difatti un rilievo fondamentale dato che, per dimostrare la difformità della merce, è necessario avere il termine di paragone.

Cosa succede se il campione è stato smarrito?

La giurisprudenza e la dottrina si dilettano ad esprimere la loro opinione circa gli effetti dello smarrimento del campione, giungendo alle seguenti conclusioni.

1. Nel caso di smarrimento del campione da parte del compratore, si dovrebbe presumere, fino a prova contraria, la conformità delle cose consegnate.

2. Qualora invece fosse colpa del venditore, si dovrebbe presumere, fino a prova contraria, che la merce fosse difforme.

Da ultimo, se lo smarrimento non fosse attribuibile ad alcuno, la vendita si risolverebbe per impossibilità sopravvenuta, comportando quindi la restituzione della merce da un lato e la restituzione del prezzo dall’altro.

Rimane invero praticabile un’altra via: quella cioè di qualificare altrimenti la vendita, come non appartenente al tipo speciale in considerazione, ma come una vendita semplice, ovvero non a campione, con tutti le problematiche già analizzate in questo nostro articolo.

Quale soluzione quindi per il caso di smarrimento del campione?

Le parti potrebbero prevedere, a livello contrattuale, quali sono gli effetti della perdita, smarrimento, deterioramento etc. del campione: ricordiamoci infatti che il contratto “ha valore di legge tra le parti”.

Pertanto, la volontà delle parti prevarrebbe sulle soluzioni interpretative, a volte anche fantasiose, dei giuristi.


[1] Art. 1522 c.c., primo comma: “Se la vendita è fatta su campione, s’intende che questo deve servire come esclusivo paragone per la qualità della merce, e in tal caso qualsiasi difformità attribuisce al compratore il diritto alla risoluzione del contratto”.

[2] Art. 1522 c.c., secondo comma: “Qualora, però, dalla convenzione o dagli usi risulti che il campione deve servire unicamente a indicare in modo approssimativo la qualità, si può domandare la risoluzione soltanto se la difformità dal campione sia notevole” [1455[2]].

[3] Per identificare un contratto di vendita “su campione”, ai sensi dell’art. 1522 cod. civ., è necessaria una volontà delle parti espressa nel senso di assumere il campione come esclusivo paragone per la qualità della merce, o così ricostruibile oltre ogni ragionevole dubbio; in caso contrario, la vendita deve intendersi, ai sensi del secondo comma, “su tipo di campione”, dovendosi ritenere che le parti, come avviene normalmente, abbiano assunto il campione per indicare in modo approssimativo la qualità della merce venduta.(cfr. Cassazione civile sez. II  24 giugno 2013 n. 15792)

[4] Nella vendita su campione il venditore non ha altro obbligo che quello di provare di aver consegnato la merce contrattata, senza che egli possa essere tenuto a provarne la conformità, laddove l’onere di provare che la merce non aveva le caratteristiche richieste e risultanti dal campione, incombe al compratore, a dimostrazione del fondamento dell’eccezione opposta alla pretesa del venditore; inoltre, la prova della relativa difformità deve essere valutata esclusivamente mediante il raffronto con il campione, sicché ove il campione manchi o non sia esibito con le necessarie garanzie d’identificazione, viene meno la possibilità di accertare l’inadempimento del venditore in ordine alla particolare qualità della merce oggetto della convenzione. (cfr. Cassazione civile sez. VI  12 giugno 2012 n. 9582).

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