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La tutela del Made in Italy: il quadro sanzionatorio

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A partire dalla metà degli anni ’90, con la crescita delle economie del c.d. far east, e con l’inarrestabile espansione della globalizzazione dei mercati, è stato avvertito il pericolo per l’industria manifatturiera nazionale, derivante da una pluralità di pratiche connesse all’uso di marchi nazionali registrati o della stampigliatura «made in Italy», consistente nel:

1) l’apposizione di tali segni distintivi su prodotti realizzati interamente all’estero da imprese totalmente estere;

2) l’apposizione di tali segni distintivi su prodotti realizzati interamente all’estero da filiali di imprese italiane ovvero terziste di imprese italiane (c.d. delocalizzazione o outsourcing);

3) l’apposizione di tali segni distintivi su prodotti realizzati parzialmente all’estero e parzialmente in Italia.

In questo contesto si aprì un lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale in ordine alla possibilità di sanzionare le suddette condotte tramite l’art. 517 c.p.[1] in materia di Vendita di prodotti con segni industriali mendaci.

In un primo momento la soluzione a cui pervennero dottrina e giurisprudenza fu quella di ritenere che l’art. 517 c.p., tutelasse solo la provenienza/origine del prodotto, intesa come la sua riconducibilità ad una determinata impresa produttrice e quindi ad una identità industriale definita, restando irrilevante l’aspetto concernente la sua provenienza geografica.

Tale soluzione lasciava un vuoto di tutela penalizzando fortemente quei produttori che avevano effettuato la coraggiosa scelta di non delocalizzare la propria produzione[2].

La necessità di colmare tale vuoto normativo e, allo stesso tempo, l’esigenza di dare concreta attuazione agli impegni internazionali presi con l’Accordo internazionale di Madrid[3] sulla repressione delle false o ingannevoli indicazioni di provenienza, portò a vari interventi da parte del legislatore[4] volti:

  1. Da un lato a tutelare la buona fede del consumatore ad acquistare un prodotto materialmente lavorato in Italia;
  2. Dall’altro lato a tutelare la capacità concorrenziale delle imprese nazionali che non ricorrono alla delocalizzazione dei processi produttivi.

Il quadro sanzionatorio che è emerso, anche a seguito di questi interventi, può essere così riassunto:

1. FALSE O FALLACI INDICAZIONI DI PROVENIENZA

L’Art. 4, comma 49 L. 350/2003 ha previsto che:

“L’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del codice penale (reclusione fino a 2 anni e multa fino a 20.000 € n.d.r.)”.

Per espressa previsione legislativa (art. 4, comma 49, secondo paragrafo) è chiarito che:

1) la falsa indicazione, consiste: nella stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci che non abbiano una origine italiana, dove per origine Italia deve farsi riferimento alle disposizioni doganali comunitarie in tema di origine non preferenziale;

2) la fallace indicazione, consiste: anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, nell’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana;

3) La sanzione si applica anche all’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli[5], fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis[6]. Il richiamo alle pratiche commerciali ingannevoli impone che vi sia stata una condotta commissiva concretizzantesi in atti che, al momento di fruizione del bene da parte del consumatore, si siano tradotti in modalità di offerta non valutabili criticamente da parte di un soggetto mediamente libero e consapevole. Diversamente qualora il soggetto agente si sia limitato ad usare un marchio nazionale su merci prodotte in regime di delocalizzazione, senza specificare il luogo di produzione (condotta omissiva), inducendo a ritenere che il bene sia stato realizzato in Italia, troverà applicazione l’art. 4, comma 49-bis della L. 350/2003. Tale norma, sanziona la condotta omissiva come illecito amministrativo[7], limitando cioè la rilevanza penale delle condotte omissive.

2. FALSA INDICAZIONE DEL 100% MADE IN ITALY

La seconda fattispecie penalmente rilevante è prevista dall’Art. 16, comma 3, ai sensi del quale:

“Chiunque fa uso di un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2[8], è punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall’articolo 517 del codice penale (reclusione fino a 2 anni e multa fino a 20.000 € n.d.r.), aumentate di un terzo”.

La norma precisa al comma 4 che:

per uso dell’indicazione di vendita o del marchio si intende l’utilizzazione a fini di comunicazione commerciale ovvero l’apposizione degli stessi sul prodotto o sulla confezione di vendita o sulla merce dalla presentazione in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e fino alla vendita al dettaglio

3. USO FALLACE O FUORVIANTE DI MARCHI (SANZIONE AMMINISTRATIVA)[9]

Ulteriore fattispecie rilevante è quella già anticipata sopra, prevista dall’art, 4, 49-bis, L. 350/2003 ai sensi del quale:

Costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. […]. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000”.

Come chiarito poco sopra la presente norma sanziona una condotta omissiva: il non aver accompagnato con indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera, o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento, l’utilizzo di un marchio con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine Italiana.

L’obbligo di inserire indicazioni precise ed evidenti sull’effettiva origine estera non scatta quindi automaticamente per tutti i prodotti recanti marchi di aziende italiane ma è limitato ai casi nei quali i marchi abbiano natura ingannevole o possano comunque far ritenere al consumatore che il prodotto sia di origine italiana.

Il 9 novembre 2009 il Ministero dello Sviluppo economico ha opportunamente emanato la circolare esplicativa n° 124898 con la quale sono state chiarite le modalità applicative delle cosiddette “indicazioni precise ed evidenti sull’origine estera” e “dell’attestazione circa le informazioni che verranno rese in fase di commercializzazione”. Le indicazioni precise sull’origine estera potranno concretizzarsi in un’appendice informativa sul prodotto, sulla confezione o sulle etichette contenente le seguenti informazioni:

  • Prodotto fabbricato in
  • Prodotto fabbricato in paesi Extra UE
  • Prodotto di provenienza Extra UE
  • Prodotto importato da Paesi Extra UE
  • Prodotto non fabbricato in Italia

Se non fosse possibile inserire tali indicazioni anteriormente all’importazione è data la possibilità al titolare o al licenziatario del marchio di allegare alla dichiarazione doganale di importazione una specifica attestazione in cui l’importatore si impegna a rendere le informazioni dovute al momento della commercializzazione.

Il panorama sanzionatorio sin qui tracciato va ulteriormente arricchito con le previsioni dettate dall’Accordo di Madrid sulla repressione delle false o ingannevoli indicazioni di provenienza del 14 aprile 1891[10]. L’Accordo di Madrid, infatti, “sanziona” le false e ingannevoli indicazioni di provenienza prevedendo il sequestro dei prodotti recanti indicazioni di provenienza false o ingannevoli[11]. Sebbene l’Accordo di Madrid faccia riferimento solo alle indicazioni di “provenienza”, un orientamento ormai consolidato ricomprende tra ipotesi sanzionate dall’Accordo anche le indicazioni d’origine[12], quali “Made in…” o “Produced from…” qualora tali indicazioni risultino apposte illegittimamente. La previsione in commento è stata recepita dall’ all’art. 4, comma 49-ter, della l. 350/03[13].

L’Accordo di Madrid invero è il punto di partenza di tutto il sistema normativo sin qui analizzato essendo proprio tale convenzione internazionale ad aver introdotto, tra i paesi aderenti, il dovere di intervenire, anche mediante legislazione interna, a reprimere le false o ingannevoli indicazioni di provenienza.

In conclusione le sanzioni a tutela del Made in Italy possono avere natura:

  1. Penale, con sanzione riconducibile all’art. 517 c.p. per il caso di false o fallaci indicazioni di provenienza;
  2. Penale con sanzione riconducibile all’art. 517 c.p., aggravata, per il caso di uso del Marchio 100% Made in Italy in assenza dei presupposti di cui alla D.l. 135/2009
  3. Amministrativa, con sanzione prevista dall’art. 4, comma 49-bis L. 350/2003;
  4. Amministrativa, con riferimento alla confisca che può essere disposta ai sensi dell’Accordo di Madrid e dell’art. 4, comma 49-ter L. 350/2003.

[1] Art. 517 c.p. “Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro”.

[2] Per un’analisi più approfondita del dibattito dottrinale e giurisprudenziale si veda Pierluigi Cipolla, Art. 16 D.l. 25 Settembre 2009, n. 135: il C.d. 100% Made in Italy, in Giur. Merito 2010.

[3] Art. 1, comma 5 Accordo di Madrid “In mancanza di sanzioni speciali che assicurino la repressione delle false o ingannevoli indicazioni di provenienza, saranno applicabili le sanzioni previste dalle corrispondenti disposizioni delle leggi sui marchi o sui nomi commerciali”; Art. 3-bis “I paesi ai quali si applica il presente Accordo s’impegnano altresì a vietare l’uso, per quanto riguarda la vendita, l’esposizione o l’offerta dì prodotti, di qualsiasi indicazione che abbia carattere pubblicitario e sia tale da trarre in inganno il pubblico sulla provenienza dei prodotti, facendola figurare su insegne, annunci, fatture, carte dei vini, lettere o documenti commerciali o in qualsiasi altra comunicazione commerciale.”

[4] Tra questi interventi si ricordano: l’art. 4, comma 49 della Legge 350/2003; l’Art. 30 del D.lgs.30/2005; il D.l. 35/2005 convertito in L. 111/2005; l’art. 1, comma 941 della L. 296/2006.

[5] Il rimando è alla Direttiva 2005/29/CE e al D.lgs. 247/2006 che ne ha dato attuazione.

[6] L’art. 49bis punisce con sanzione amministrativa “l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto”.

[7] La differenza tra illecito penale e illecito amministrativo è da individuarsi nel fatto che la commissione di un illecito penale (ovvero di un reato) ha come conseguenza l’irrogazione di una sanzione afflittiva, c.d. pena, che può consistere nella reclusione e nella multa (qualora il reato sia previsto come delitto), ovvero nell’arresto o nell’ammenda (in caso di contravvenzione), mentre l’illecito amministrativo comporta esclusivamente l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, consistente nel pagamento di una somma di danaro.

[8] Per l’esame dei requisiti ai fini dell’utilizzo del marchio 100% Made in Italy e simili si invita a leggere questo articolo.

[9] Si veda quanto chiarito in nota 7.

[10]L’Accordo è stato ratificato in Italia con Legge 676/1967 e con D.P.R. 26.02.1968 n° 656

[11] Art. 1 Accordo di Madrid: “(1) Qualsiasi prodotto recante una falsa o ingannevole indicazione di provenienza, nella quale uno dei paesi, cui si applica il presente Accordo, o un luogo situato in uno di essi, fosse direttamente o indirettamente indicato come paese o come luogo d’origine, sarà sequestrato alla importazione in ciascuno dei detti paesi. (2) Il sequestro sarà eseguito anche nel paese in cui la falsa o ingannevole indicazione di provenienza sarà stata apposta, o in quello in cui sarà stato importato il prodotto recante tale falsa o ingannevole indicazione. (3) Se la legislazione di un paese non ammette il sequestro all’importazione, questo sarà sostituito dal divieto d’importazione. (4) Se la legislazione di un paese non ammette né il sequestro all’importazione, né il divieto d’importazione, né il sequestro nell’interno, dette misure, nell’attesa che detta legislazione sia adeguatamente modificata, saranno sostituite dalle azioni e dai mezzi che la legge di quel paese assicura in simili casi ai propri cittadini. (5) In mancanza di sanzioni speciali che assicurino la repressione delle false o ingannevoli indicazioni di provenienza, saranno applicabili le sanzioni previste dalle corrispondenti disposizioni delle leggi sui marchi o sui nomi commerciali”.

[12] In linea generale di massima approssimazione con il termine provenienza ci si riferisce al luogo da cui è spedito un bene o comunque alla sua riferibilità industriale ad una certa impresa, con il termine origine invece, ci si riferisce alla nazionalità economica del bene intesa come luogo in cui lo stesso è fabbricato.

[13] Art. 4, comma 49-ter, L. 350/03: “è sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le indicazioni ivi previste siano  apposte,  a  cura  e  spese  del  titolare   o   del licenziatario  responsabile  dell’illecito,  sul  prodotto  o   sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore”.

Previsto anche dall’art. 1, comma I, dell’Accordo di Madrid: “Qualsiasi prodotto recante una falsa o ingannevole indicazione di provenienza, nella quale uno dei paesi, cui si applica il presente Accordo, o un luogo situato in uno di essi, fosse direttamente o indirettamente indicato come paese o come luogo d’origine, sarà sequestrato alla importazione in ciascuno dei detti paesi.”

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