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Lavaggio a secco e funzione antibatterica

In questo articolo, già apparso sul portale della rivista specializzata Detergo, affrontiamo un argomento di interesse quotidiano quando si tratta di cura dei tessuti: la detersione dei capi con la modalità “a secco”, ampiamente utilizzata perché risulta pratica come alternativa al classico lavaggio “ad umido”, ed in particolare per alcuni tipi di fibre, come ad esempio quelle che non sopportano il contatto con l’acqua.

Sicuramente al giorno d’oggi è assodato che il lavaggio a secco è una valida alternativa al lavaggio “classico” ad umido che tutti noi utilizziamo nell’ambito domestico e non. La rimozione dello sporco dagli indumenti ed altri prodotti tessili infatti la possiamo attuare attraverso queste due vie tra loro alternative, ma tradizionali in quanto a storicità d’uso.

Le due modalità si distinguono fondamentalmente per l’utilizzo o meno dell’acqua come mezzo di pulitura, dato che comunque un detergente è possibile utilizzarlo in entrambi i casi. Nello specifico di questo articolo approfondiremo in parte l’aspetto igienico dell’azione del lavaggio a secco rispetto al lavaggio ad umido.

E’ fuor di dubbio la grande capacità del percloroetilene (o tetracloroetene, o anche tetracloroetilene) di allontanare lo sporco dal capo trattato sfruttando una semplice legge chimica per cui “ogni simile scioglie il suo simile” ed è per questo motivo che, nonostante l’attenzione che richiede il suo impiego e le recenti indagini sulla sua pericolosità per l’uomo, ne hanno fatto per decenni e ne fanno, il solvente ideale per questo tipo di pulitura nel tessile. Ma quali sono le conoscenze in merito alla possibile azione battericida data dal percloroetilene?

Per quanto riguarda il lavaggio per via umida è oramai dato certo che, combinando l’azione antibatterica congiunta della temperatura (a partire da 40°C) a quella di un detergente con composti ad azione battericida all’interno, è possibile ottenere un elevato standard igienico sanitario.

Test scientifici sono stati effettuati in passato sin dagli anni Venti del secolo scorso[1], ma i risultati più certi e accreditati risalgono agli anni Sessanta[2], anni in cui lo sviluppo post bellico era in piena espansione e molti istituti di ricerca erano dediti a studi di carattere scientifico applicativo relativamente alle scoperte di allora. Anche il lavaggio a secco ed il percloroetilene sono stati protagonisti di questi lavori e i risultati furono sorprendenti per gli studi dell’epoca. L’azione meccanica di lavaggio, unita alle proprietà chimiche del prodotto utilizzato, dimostrarono una buona azione antibatterica del solvente che risultò efficace e competitivo nei confronti di altri solventi, sempre di matrice organica, e derivati dal petrolio utilizzati nei test di verifica. Dati alla mano dimostrarono un abbattimento della carica batterica presente fino all’ 80%.

Un potenziamento di questa efficacia si dimostrò con la combinazione detergente-solvente che permise di abbattere la carica batterica eliminando un più vasto campione di specie batteriche.

E’ innegabile come il problema dell’igiene dei capi stia tornando sempre più di attualità anche in funzione della delocalizzazione delle produzioni tessili in aree del mondo in cui, per cultura e/o necessità, le condizioni igieniche non sono paragonabili a quelle del continente Europa.

E’ caso recente, ad esempio, come irritazioni cutanee siano state lamentate da consumatori a seguito dell’indosso di capi: a causare il disturbo è stata riscontrata la presenza sull’epidermide di punture ad opera di parassiti (a lato la foto di deposizione di uova di parassiti sulle fibre del capo in analisi per conferma).

Oggi in virtù di un miglioramento della tecnologia di settore e di una sempre maggiore raffinazione del processo di produzione del prodotto, è da chiedersi se non sarebbero opportuni ulteriori studi di settore per verificare se non si possa aspirare ad un aumento di efficacia igienico sanitaria per il lavaggio a secco.

[1] “The bacterial action of dry cleaning” – Lloyd E. Jackson – Mellon Institute of Industrial Research, University of Pittsburgh.

[2] “Microbiology of Drycleaning” – Robert R. Banville and Ethel McNeil – U.S. Department of Agriculture, Washington, D.C.

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