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La policy aziendale e lo smart working

L’incremento dell’utilizzo degli strumenti tecnologici per lo svolgimento delle prestazioni lavorative già da tempo ha dato luogo ad un acceso dibattito tra le parti in gioco nella ricerca del punto di equilibrio tra i diversi interessi coinvolti.

Da un lato, infatti, troviamo l’esigenza del datore di lavoro di controllare l’attività lavorativa prestata dal proprio dipendente, a cui si aggiunge la necessità di tutelare i dati e le informazioni aziendali; dall’altro, bisogna tenere in considerazione il diritto del lavoratore di difendere la propria privacy e garantire la libertà e dignità dello stesso in conformità con quanto previsto dallo Statuto dei Lavoratori (Legge 20.05.1970, n. 300).

 La ricerca di tale punto di equilibrio si è fatta ancora più spasmodica nell’emergenza sanitaria avuta inizio poco più di un anno fa.

Il controllo del lavoro “a distanza”

Come fare dunque a controllare la prestazione lavorativa del lavoratore a distanza e a tutelare, sempre a distanza, i dati aziendali e preservarne la sicurezza? È possibile utilizzare dispositivi idonei a controllare a distanza la prestazione del lavoratore?

Ci si riferisce in particolare a quei software in grado di verificare la presenza o meno del lavoratore al pc attraverso un “semaforo” verde, giallo o rosso. Oppure a quei software in grado di trasmettere al datore di lavoro un report periodico su ciò che fa il dipendente, attraverso la registrazione, ad esempio, degli accessi alle pagine web, del tempo trascorso sui social network, dei movimenti del mouse e della digitazione sulla tastiera. Esistono poi dispostivi indossabili o installabili su smartphone attraverso anche delle app di geolocalizzazione del dipendente. Ed infine, programmi capaci di verificare attraverso addirittura la webcam la presenza o meno del lavoratore al pc.

Va detto subito che tali software, per citare i più famosi Time Doctor, Teramind, Productivity Score, dilagano oltreoceano, nella maggior parte dei casi, in spregio a qualsiasi forma di tutela della privacy del lavoratore.  E in Italia?

La situazione italiana

Nel nostro Paese bisogna innanzitutto fare i conti con le norme previste a tutela della libertà e dignità del lavoratore ed in particolare con l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori secondo cui l’uso degli strumenti informatici non deve essere finalizzato all’esercizio di un controllo a distanza dei lavoratori da parte del datore di lavoro ma a consentire a quest’ultimo di utilizzare sistemi informatici per far fronte ad esigenze produttive ed organizzative, nonché di sicurezza nel trattamento dei dati personali e aziendali. Inoltre, tale articolo prevede che l’eventuale installazione può avvenire solo previo accordo con la rappresentanza sindacale unitaria o con le rappresentanze sindacali aziendali, ove presenti.

Il Protocollo d’Intesa tra il Garante della Privacy e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro

Da ultimo il Garante della Privacy e l’Ispettorato nazionale del Lavoro che il 22 aprile 2021 hanno firmato un protocollo d’intesa (https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9577513) assumendosi il compito di attivare una collaborazione e fornire reciproca attività consultiva sulle tematiche di rispettiva competenza con particolare riferimento all’utilizzo degli strumenti tecnologici connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro.

E ciò nella piena consapevolezza che “nell’ambito dell’attuale emergenza epidemiologica, è sempre più frequente il ricorso a modelli di prestazione “a distanza” (c.d. lavoro agile) e all’adozione di strumenti tecnologici preordinati a contenere il rischio di contagio nei contesti lavorativi pubblici e privati anche mediante applicativi da installare sui dispostivi mobili indossabili o su smartphone”. Consci, tra l’altro, che molto probabilmente tali processi sono destinati a permanere anche oltre l’emergenza.

La situazione oltreoceano – Il caso Google

In realtà, mentre l’Italia affronta le sfide dello smart working, nella convinzione che i modelli di prestazione lavorativa a distanza siano destinati a permanere anche oltre l’emergenza, e le aziende, in vista dell’autunno, provano a riorganizzarsi, oltreoceano per qualche big company il trend sembra essere l’esatto contrario.

Fa notizia, infatti, la chiamata in ufficio rivolta da Google ai propri dipendenti che da settembre potranno richiedere lo smart working soltanto per pochi giorni l’anno (si parla di soli 14 giorni) e per un periodo maggiore solo previa autorizzazione. Il gigante dei motori di ricerca era stato infatti tra i primi ad incentivare i propri lavoratori a lavorare in smart working. Ma ora sembra aver cambiato idea.

Sarà, dunque, interessante osservare quali saranno le scelte delle big company del vecchio continente ed in particolare di quelle italiane di fronte all’opportunità di continuare con modalità di svolgimento dell’attività lavorativa a distanza.

La policy aziendale sull’uso degli strumenti informatici e tecnologici

Ad ogni modo, al di là dell’impiego o meno dello smart working da parte del datore di lavoro e della possibilità di utilizzare dispositivi di controllo a distanza, il processo di digitalizzazione del lavoro ha spinto le aziende italiane, già da tempo, a adottare una precisa policy aziendale per regolare l’uso degli strumenti informatici e tecnologici.

Il punto di partenza per molte aziende è stato, dunque, l’adozione di un documento aziendale volto a regolamentare l’utilizzo dei sistemi informatici e tecnologici e ad informare il dipendente circa le modalità d’uso indicando quali comportamenti sono consentiti e quali vietati.

È indiscusso che tali regolamenti rappresentano un ottimo strumento per il datore di lavoro sia per stabilire norme precise in ordine all’utilizzo degli strumenti informatici e tecnologici da parte del lavoratore (uso del pc, della posta elettronica aziendale e personale, dei motori di ricerca, dei software aziendali ecc.), sia per garantire al contempo la privacy di quest’ultimo, sia per tutelare tutti i dati aziendali.

Vuoi essere sicuro che il tuo dipendente utilizzi nel modo corretto i dispostivi tecnologici e informatici che la tua azienda gli ha messo a disposizione? Sei certo che i dati aziendali e la privacy dei tuoi dipendenti siano protetti nel modo giusto? Per questi e per molti altri aspetti, puoi rivolgerti alla consulenza dello Studio legale Soccol.

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