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Il diritto di recesso nei contratti di fornitura di contenuti digitali

Il diritto di recesso, anche detto diritto al “ripensamento”, consiste nel diritto del consumatore di poter sciogliere, unilateralmente, il contratto stipulato con il professionista e di avere diritto alla restituzione del prezzo già corrisposto.

Tale diritto, il quale va esercitato entro un termine previsto per legge, nasce dall’esigenza di tutelare il consumatore, quale soggetto debole e vulnerabile rispetto al professionista venditore, durante gli acquisti di beni e servizi effettuati a distanza o fuori dai locali commerciali.

Il diritto di recesso ha acquisito una centralità nella società dell’informazione a seguito della trasformazione dell’utente in consumatore digitale.

Il “consumatore digitale”

Il legislatore europeo ha mostrato da sempre una spiccata sensibilità al tema della tutela del consumatore non soltanto quale parte “debole” del rapporto contrattuale, ma anche quale protagonista di un mercato in continua evoluzione e sempre più complesso.

Trasparenza e informazione (inclusa quella al diritto al recesso) hanno costituito, sin dalle prime delibere comunitarie, gli strumenti con cui è stata attuata a livello comunitario la tutela del consumatore, e oggi lo sono sempre di più dal momento che quest’ultimo si è trasformato in consumatore digitale.

Con l’intento di rafforzare la tutela del consumatore, agevolandone la consapevolezza dei propri diritti in fase di acquisto “on-line”, e con l’intento di armonizzazione dei sistemi nazionali il legislatore europeo, è intervenuto sulla normativa consumeristica con la direttiva 83/2011 EU.

Nel nostro ordinamento gli effetti della suddetta direttiva sono stati recepiti all’interno del codice del consumo attraverso il D.Lgs. 21/2014.

Esclusioni: la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali iniziata prima dello scadere dei 14 giorni per il diritto di ripensamento

Se il diritto al ripensamento rappresenta uno degli strumenti con cui il legislatore comunitario ha garantito tutela al consumatore, lo stesso subisce però una serie di limitazioni ed esclusioni allorquando il contratto concluso tra il consumatore ed il professionista ha ad oggetto determinate categorie di beni e servizi.

I casi di esclusione dal diritto di recesso, nella normativa italiana, sono tassativamente indicati all’art. 59 del Codice del Consumo.

Leggendo l’elenco delle ipotesi contrattuali escluse si comprendono facilmente le ragioni. Mal si concilierebbe, ad esempio, l’esercizio del diritto di recesso dinanzi a beni sigillati e che per ragioni igieniche non si prestano alla restituzione, oppure dinanzi alla prestazione di un servizio che per sua natura o per richiesta del consumatore stesso abbia avuto inizio ben prima dello scadere dei 14 giorni di cui il consumatore stesso dispone per il “ripensamento”.

Tra le ipotesi di esclusioni del diritto di recesso che maggiormente possono suscitare interesse, alla luce anche dei recenti recepimenti della direttiva (UE) 2019/770 e 2019/771 è senza alcun dubbio quella che riguarda i contratti aventi ad oggetto contenuti digitali o la fornitura di servizi digitali.

Il Decreto Legislativo 4 novembre 2021 n. 173 che ha recepito la prima direttiva, ha infatti previsto, tra gli altri, una serie di obblighi specifici per il professionista che fornisce contenuti e servizi digitali.

La decisione della CGUE

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C- 641/19) dell’8 ottobre 2020 ha cercato di contemperare la tutela del consumatore con l’interesse del venditore a vedersi riconosciuto economicamente il servizio reso seppur parzialmente.

Il caso prende il via da una controversia tra un consumatore ed una società tedesca, che gestiva un sito di incontri, in merito all’importo dovuto a quest’ultima a seguito dell’esercizio, da parte del consumatore, del diritto di recesso da un contratto concluso con la suddetta società.

Nel dettaglio, il consumatore aveva stipulato con la società un contratto di abbonamento premium, per la durata di 12 mesi, per un determinato prezzo. L’abbonamento premium offerto dalla società assicurava all’utente un determinato numero di contatti con altri utenti.

Trascorsi solo 4 giorni, l’utente esercitava il diritto di recesso e riceveva poco dopo dalla società, a titolo di indennità compensativa, una somma non corrispondente all’intero prezzo dell’abbonamento. L’utente presentava ricorso al Tribunale competente per ottenere il rimborso dell’intero prezzo pagato.

Il contesto normativo da cui prende piede la sentenza riguarda essenzialmente due aspetti.

Il primo attiene alla definizione del “contenuto digitale”, il secondo al diritto di recesso esercitato successivamente alla richiesta di prestazione di servizi ma comunque prima della fine del periodo di ripensamento.

Quanto alla prima questione, nella sentenza si legge che: per contenuti digitali si intendono i dati prodotti e forniti in formato digitale, quali programmi informatici, applicazioni, giochi, musica, video o testi, indipendentemente dal fatto che l’accesso a tali dati avvenga tramite download, streaming, supporto materiale o tramite qualsiasi altro mezzo. I contratti per la fornitura di contenuto digitale dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva; i contratti per la fornitura di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale, invece, non dovrebbero essere considerati ai sensi della direttiva 2011/83/EU del Parlamento Europeo né un contratto di vendita né un contratto di servizi. Per tali contratti il consumatore dovrebbe godere del diritto di recesso, salvo che egli abbia acconsentito che l’esecuzione del contratto abbia inizio durante il periodo di recesso e abbia riconosciuto, così facendo, la perdita del diritto di recesso dal contratto.

Sulla riduzione proporzionale del prezzo

In ordine al secondo aspetto delineato, nella sentenza si legge che:

Da un lato, il consumatore dovrebbe usufruire del suo diritto di recesso anche nel caso in cui abbia chiesto la prestazione dei servizi prima della fine del periodo di recesso. Dall’altro, se il consumatore esercita il diritto di recesso, il professionista dovrebbe essere sicuro di venire adeguatamente pagato per il servizio fornito. Il calcolo dell’importo proporzionale dovrebbe basarsi sul prezzo concordato nel contratto salvo che il consumatore dimostri che il prezzo totale è di per sé sproporzionato, nel qual caso l’importo da pagare è calcolato sulla base del valore di mercato del servizio fornito. Il valore di mercato dovrebbe essere definito facendo un confronto con il prezzo di un servizio equivalente prestato da altri professionisti alla data di conclusione del contratto. Pertanto, il consumatore dovrebbe chiedere la prestazione dei servizi prima della fine del periodo di recesso facendone esplicita richiesta e, nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, su un supporto durevole. Analogamente, il professionista dovrebbe informare il consumatore, su un supporto durevole, di qualsiasi obbligo di pagamento dei costi corrispondenti ai servizi già prestati”.

Tanto premesso, in ordine all’importo che il venditore è tenuto a restituire, la Corte precisa che: “l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2011/83 deve essere interpretato nel senso che, per determinare l’importo proporzionale che il consumatore deve pagare al professionista qualora tale consumatore abbia espressamente chiesto che l’esecuzione del contratto concluso inizi durante il periodo di recesso ed egli receda da tale contratto, occorre, in linea di principio, tener conto del prezzo convenuto in detto contratto per tutte le prestazioni oggetto del contratto medesimo e calcolare l’importo dovuto pro rata temporis. Solo nel caso in cui il contratto concluso preveda espressamente che una o più prestazioni siano fornite integralmente sin dall’inizio dell’esecuzione del contratto, in maniera distinta, a un prezzo che deve essere pagato separatamente, occorre tener conto – nel calcolare l’importo dovuto al professionista in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 3, di tale direttiva – dell’intero prezzo previsto per una simile prestazione”.

Per quanto riguarda invece la fornitura del contenuto digitale e la conseguente esclusione del diritto di recesso, la Corte precisa che tale esclusione deve essere interpretata restrittivamente. Pertanto, nel caso come quello in oggetto della sentenza, il servizio fornito dal sito Internet di incontri non può essere considerato in quanto tale come “fornitura di un contenuto digitale”.

Parimenti, la creazione di un profilo di personalità sul suddetto sito di incontri non rientra nell’ambito dei casi di esclusione del diritto di recesso in quanto non costituisce fornitura di un “contenuto digitale”.

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