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Categoria: Guide

Di recente, anche Chiara Ferragni, o meglio, alcune società che producono per il suo brand, sono incorsi in un errore di valutazione per quanto riguarda la produzione di una linea di calzature e sono stati condannati ad interrompere la produzione e a risarcire i danni per la violazione del diritto d’autore di Tecnica Group sui celebri doposcì Moon Boot (sentenza del Tribunale di Milano, n. 493 del 25 gennaio 2021).

Moon Boot Kids : Clothes & Accessories | Melijoe

Gli imprenditori nell’ambito della moda sono spesso guidati e trascinati dal proprio pensiero creativo, che può essere più o meno libero o influenzato dall’ambiente esterno. Ma dopo lo spunto creativo, a cosa bisogna stare attenti nella realizzazione di un nuovo capo, calzatura o collezione? L’ “ispirazione” da idee altrui non può infatti trasformarsi in una “copia”, che sarà dichiarata illecita, sussistendo determinate condizioni, a prescindere dal fatto che fosse, o meno, consapevole.

Può ad esempio accadere che taluni prodotti del settore moda, come è stato riconosciuto dal Tribunale di Milano nel caso dei Moon Boot e come avvenuto in precedenza anche per altri capi di abbigliamento o calzature, siano tutelati dal diritto d’autore, se ritenuti qualificabili come “opere del disegno (o “design”) industriale” con carattere creativo e valore artistico. Di conseguenza, eventuali capi simili dovrebbero presentare un’“autonomia creativa” per essere a propria volta tutelati e non considerati in contraffazione con la creazione precedente.

Qual è il rischio effettivo in cui incorre un imprenditore che non consideri questi aspetti?

Innanzitutto, occorre considerare che una violazione del diritto d’autore danneggia sia il “creatore morale” dell’opera, sia colui che è titolare dei relativi diritti di sfruttamento economico. L’idea innovativa può venire a chiunque, ma quando entrano in gioco forti interessi economici, è evidente come ci si esponga ad un elevato rischio sia di contestazioni “stragiudiziali” sia di eventuali procedimenti giudiziali.

Di solito la società titolare dei diritti (che nel “caso Ferragni” era Tecnica Group) invia inizialmente una diffida al presunto contraffattore. Con la diffida si viene intimati di cessare la produzione e la commercializzazione dei prodotti in questione ed è possibile che venga anche chiesto un risarcimento per i danni fino a quel momento subiti. In questi casi, la cifra richiesta potrebbe essere rilevante, ma talvolta viene comunque accettata e pagata per evitare il rischio di un procedimento giudiziale dall’esito e dalla durata incerti. In tema di riconoscimento del diritto d’autore, infatti, le valutazioni dei giudici risultano spesso oscillanti e non prevedibili.

Se si accetta di cessare la produzione e la vendita dei prodotti, ed eventualmente di pagare il risarcimento richiesto, i soggetti coinvolti stipulano quindi una transazione, che tra l’altro potrebbe prevedere anche clausole penali per eventuali futuri inadempimenti, esponendo l’attività dell’imprenditore contestato ad ancora maggiori rischi.

Bentrovati. Come promesso, torniamo a parlare della possibilità per il datore di lavoro di imporre la vaccinazione ai propri dipendenti, e dell’eventuale legittimità del licenziamento in caso di rifiuto.

Come ricorderete, la questione è molto dibattuta e sul punto si registrano due tesi:

  • la prima, secondo cui il datore di lavoro può imporre il vaccino ai propri lavoratori e in caso di rifiuto licenziarli per giusta causa. Di questa vi abbiamo parlato qui;
  • la seconda, per cui il datore di lavoro non può imporre il vaccino ai propri dipendenti e conseguentemente il licenziamento è illegittimo.

Ed è proprio di questa seconda tesi che vi vogliamo parlare oggi.

Quadro normativo di riferimento.

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Prima di addentrarci nella questione, rivediamo assieme il quadro normativo di riferimento.

Art. 32 Costituzione, comma 2: nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”;

– Art. 2087 c.c.:L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”;

Art. 279 Testo Unico in materia di sicurezza (D.Lgs. 81/08), comma 2:il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali: a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”.

La seconda tesi: no imposizione del vaccino, no licenziamento

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Questa tesi presenta diversi argomenti a favore. In particolare:

L’articolo 2087 c.c.

Tale norma non può essere considerata la disposizione di legge di cui all’art. 32 Cost. che obbliga un soggetto a sottoporsi alla vaccinazione, dovendo tale norma consistere in una normazione ad hoc, specificamente diretta ad imporre la vaccinazione anti Covid-19.

L’art. 2087 c.c. impone al datore di conformarsi al criterio della “massima sicurezza possibile”, ma il rispetto di tale criterio è pur sempre ancorato a dati scientifici dedotti dall’”esperienza e la tecnica”. Al momento si conosce poco sul vaccino ed i suoi effetti e gli scienziati si dividono anche sui mezzi di propagazione del virus. Dunque, mancherebbero quei dati di acquisita “esperienza e tecnica”, che potrebbero imporre al datore l’adozione di tale misura. Così come il lavoratore potrebbe addurre, se non il rispetto della riservatezza, particolari condizioni personali che possono sconsigliare di sottoporsi alla vaccinazione.

L’art. 279 TU

L’art. 279 TU impone la vaccinazione a protezione dello stesso lavoratore esposto ad un rischio che comunque promana dall’ambiente lavorativo. Tale norma costituisce la migliore conferma del fatto che solo con una esplicita previsione legislativa si può superare il divieto previsto dall’art. 32 Cost. con il corollario che, trattandosi di norma di stretta interpretazione, non se ne possono allargare le maglie estendendola a situazioni diverse e non previste.

Conclusioni della seconda tesi.

Fra gli strumenti di promozione del brand, i concorsi a premi rappresentano uno dei metodi più efficaci, in virtù della loro attitudine a coinvolgere in parte attiva e in modo diretto i partecipanti, siano essi clienti già affezionati o potenziali.

In genere chi aderisce a un’iniziativa a premi, si fa coinvolgere con entusiasmo e dinamismo, facendosi partecipe di un meccanismo di ingaggio con l’azienda ed il brand, in cui determinante è l’elemento di competizione ludica.  Il concorso a premi, proprio per la dimensione di gioco e sfida, crea un clima di entusiasmo collettivo e partecipazione attorno all’azienda, alla sua storia e valori, ai suoi prodotti e al marchio, di cui si imprime facilmente in chi vi prende parte un ricordo piacevole. Non meno importante, anche il meccanismo di passaparola che si può generarsi con l’avvio di una simile iniziativa, e la sua impronta virale come strumento di pubblicità risulta un mezzo di promozione dei più efficaci. La possibilità di vincere è un argomento di vendita molto efficace. Molto spesso dà al cliente lo stimolo a provare un prodotto nuovo, a cui poi si lega. Anche i clienti abituali gradiranno l’iniziativa, stringendo un legame col brand ancora più forte.

Vediamo in concreto come si organizza un concorso a premi, a norma di legge.

Si può avviare una iniziativa di gioco a premi seguendo la prassi che il  Ministero dello Sviluppo Economico ha predisposto “ad hoc”, istituendo il portale dedicato “PREMA”, attraverso il quale eroga il servizio integrato alle imprese per la gestione dei concorsi e delle manifestazioni a premio[1].

Vediamo in dettaglio le operazioni da seguire.

Innanzitutto bisogna preliminarmente dotarsi di:

  1. Firma digitale del rappresentante legale dell’azienda.
  1. Una casella di posta elettronica.
  1. Un regolamento scritto.

In questo regolamento va indicato con precisione:

  • il nome del concorso;
  • chi è il soggetto promotore (cioè l’azienda);
  • la durata del concorso (che non deve essere superiore ai 12 mesi) indicando, specificando: data di inizio, data di fine e data dell’estrazione dei vincitori dei premi; l’ambito territoriale (ovvero l’area in cui promuoverai il concorso); l’entità del premio ed il suo valore commerciale (montepremi); i soggetti destinatari del concorso; le modalità di svolgimento e di estrazione; eventuali soggetti esclusi dall’iniziativa; si deve inoltre dare indicazione delle società beneficiarie di eventuali premi non assegnati, ed ulteriori eventuali clausole per mettere in chiaro adempimenti e garanzie.
  1. Un deposito a cauzione sul montepremi 

La procedura prevista dal Ministero impone, a titolo di garanzia verso i vincitori, che il soggetto che promuove un concorso a premi depositi una somma pari all’importo del totale del montepremi o in alternativa, presenti una fidejussione a copertura della stessa somma a valere per un periodo di almeno un anno dalla data di conclusione dell’iniziativa (estrazione finale). Si può richiedere la fidejussione presso una banca o una compagnia di assicurativa. La fidejussione, oltre ad indicare che è emessa con finalità di garanzia relativamente alla organizzazione di un concorso a premi, deve essere firmata con autenticazione bollata.

Una volta ci si sia dotati di questi quattro elementi, si può inviare una richiesta di attivazione della iniziativa di organizzazione del concorso a premi, connettendosi al portale www.impresa.gov.it, dal quale, accedendo all’area “Manifestazioni a premio”, sarà possibile visualizzare e selezionare la documentazione e modulistica relativa, in particolare:

  • “Comunicazione di svolgimento di concorso a premio”
  • “Comunicazione di chiusura di concorso a premio”
  • “Comunicazione di cauzione prestata per operazioni a premio”

Nel momento in cui ci si connette al portale, è richiesta autenticazione tramite firma digitale, che consentirà di connettersi in modalità sicura, e operare come utenti registrati, accedendo alle funzionalità previste, fra cui la compilazione ed invio dei predetti moduli necessari all’organizzazione di un’iniziativa a premio.

La domanda di avvio di un concorso a premi “MODULO CO/1: Comunicazione di svolgimento di concorso a premio” consiste nella compilazione di uno specifico modulo online, composto di una decina di schede di compilazione, al quale infine viene richiesto di allegare il regolamento unitamente a copia della fidejussione (di entrambi i documenti conviene disporre di formati .pfd pronti per essere inviati, al momento in cui si compila la domanda).

La domanda va trasmessa in ogni caso almeno 15 giorni prima della data di avvio dell’iniziativa. A inoltro della domanda effettuato, si riceve una comunicazione all’indirizzo e-mail fornito durante la compilazione, a conferma dell’inserimento della domanda e dei dati forniti, verificati i quali, il concorso può avviarsi secondo le modalità previste.

[1] Dal 25 gennaio 2011, in ottemperanza al decreto interdirigenziale (Ministero Sviluppo Economico – Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) del 5 luglio 2010 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 172 del 26 luglio 2010) le imprese promotrici di concorsi e operazioni a premio sono obbligate a trasmettere la documentazione prevista dal d.P.R. 26 ottobre 2001, n. 430, esclusivamente attraverso il servizio telematico “Prema online”.