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SECONDA PUNTATA: PUO’ IL DATORE DI LAVORO IMPORRE IL VACCINO AI PROPRI DIPENDENTI E IN CASO DI RIFIUTO LICENZIARLI LEGITTIMAMENTE?

Bentrovati. Come promesso, torniamo a parlare della possibilità per il datore di lavoro di imporre la vaccinazione ai propri dipendenti, e dell’eventuale legittimità del licenziamento in caso di rifiuto.

Come ricorderete, la questione è molto dibattuta e sul punto si registrano due tesi:

  • la prima, secondo cui il datore di lavoro può imporre il vaccino ai propri lavoratori e in caso di rifiuto licenziarli per giusta causa. Di questa vi abbiamo parlato qui;
  • la seconda, per cui il datore di lavoro non può imporre il vaccino ai propri dipendenti e conseguentemente il licenziamento è illegittimo.

Ed è proprio di questa seconda tesi che vi vogliamo parlare oggi.

Quadro normativo di riferimento.

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Prima di addentrarci nella questione, rivediamo assieme il quadro normativo di riferimento.

Art. 32 Costituzione, comma 2: nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”;

– Art. 2087 c.c.:L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”;

Art. 279 Testo Unico in materia di sicurezza (D.Lgs. 81/08), comma 2:il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali: a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”.

La seconda tesi: no imposizione del vaccino, no licenziamento

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Questa tesi presenta diversi argomenti a favore. In particolare:

L’articolo 2087 c.c.

Tale norma non può essere considerata la disposizione di legge di cui all’art. 32 Cost. che obbliga un soggetto a sottoporsi alla vaccinazione, dovendo tale norma consistere in una normazione ad hoc, specificamente diretta ad imporre la vaccinazione anti Covid-19.

L’art. 2087 c.c. impone al datore di conformarsi al criterio della “massima sicurezza possibile”, ma il rispetto di tale criterio è pur sempre ancorato a dati scientifici dedotti dall’”esperienza e la tecnica”. Al momento si conosce poco sul vaccino ed i suoi effetti e gli scienziati si dividono anche sui mezzi di propagazione del virus. Dunque, mancherebbero quei dati di acquisita “esperienza e tecnica”, che potrebbero imporre al datore l’adozione di tale misura. Così come il lavoratore potrebbe addurre, se non il rispetto della riservatezza, particolari condizioni personali che possono sconsigliare di sottoporsi alla vaccinazione.

L’art. 279 TU

L’art. 279 TU impone la vaccinazione a protezione dello stesso lavoratore esposto ad un rischio che comunque promana dall’ambiente lavorativo. Tale norma costituisce la migliore conferma del fatto che solo con una esplicita previsione legislativa si può superare il divieto previsto dall’art. 32 Cost. con il corollario che, trattandosi di norma di stretta interpretazione, non se ne possono allargare le maglie estendendola a situazioni diverse e non previste.

Conclusioni della seconda tesi.

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Alla luce di tali argomentazioni, dunque, il datore di lavoro non potrebbe imporre l’obbligo di vaccinazione e conseguentemente neppure licenziare il lavoratore qualora il medesimo si rifiutasse di farlo.

Il Prof. Mazzotta Oronzo [1], sostenitore della tesi appena esposta, ha comunque ipotizzato che, per alcune attività (es. medici) il datore di lavoro possa imporre la vaccinazione anti Covid-19, e si è chiesto se la mancata adesione da parte del lavoratore possa comportare legittimamente il licenziamento.

Egli ritiene che il giudizio debba essere condotto sul piano del singolo rapporto e quindi essere individualizzato operando importanti distinzioni fra rapporto e rapporto e fra ambiente ed ambiente. Proprio in tale ottica sarebbe legittimo che un ospedale o una casa di cura privata possono pretendere la vaccinazione da medici ed infermieri, anche perché sarebbero esposti a responsabilità risarcitoria nei confronti di chi, ricoverato per curarsi, abbia contratto il virus in conseguenza di un comportamento inadempiente di un dipendente. Infatti, in tali specifici rapporti la protezione della salute degli assistiti è proprio l’oggetto della prestazione richiesta agli addetti del settore.

Tuttavia, anch’egli in un’ottica moderata non è favorevole al licenziamento, ritenendo invece che il datore di lavoro dovrebbe adire il lavoratore che ha scelto di non vaccinarsi a posizioni compatibili con tale scelta e, in caso di impossibilità riterrebbe il comportamento del lavoratore come un oggettivo impedimento alla prestazione di lavoro che comporta una sospensione dallo svolgimento dell’attività lavorativa.

E quindi…che fare?

Illustrate le due tesi, si ritiene che, nel silenzio della legge e in mancanza di precedenti pronunce giurisprudenziali, i datori di lavoro, in via prudenziale, dovrebbero non licenziare i lavoratori che non si sottopongono alla vaccinazione cercando, invece di adibirli, laddove possibile ad una diversa mansione “più protetta”.

Vi diamo comunque appuntamento al prossimo lunedì, per un video, con alcuni consigli pratici sulla questione. Continuate a seguirci su Facebook, Linkedin e Youtube.


[1] Professore di diritto del lavoro presso l’Università di Pisa dirige la collana Biblioteca di diritto del lavoro, presso l’editore Giappichelli.

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